
Un "pizzaiolo" palermitano (uno stimato imprenditore? un commerciante illuminato?) si chiede, dopo gli ultimi arresti eccellenti, perpesso ed un po' spaesato: "E ora il pizzo a chi lo paghiamo?".
Questa vignetta fotografa, in maniera fulminante ed esaustiva, la "realtà antropomorfica" dell' imprenditore/commerciante/bottegaio/affarista palermitano-medio.
Dirò di più: la "realtà antropomorfica" di parte (larga?) del palermitano-medio.
Con gli anni, il variare delle stagioni e la selezione naturale, nel dna del palermitano-medio si sono sedimentate una serie di convinzioni:
non è la mafia il problema della nostra società;
lo è di più lo Stato, che - coi suoi vincoli, balzelli, inceppi, lungaggini burocratiche - appesantisce le dinamiche economiche;
un clima di diffusa illegalità rappresenta il "brodo di coltura" ideale per far funzionare le attività affaristiche/imprenditoriali - insignificanti, piccole o grandi - legali, confinanti coll'illegalità, criminali.
Tale convinzione, come una mala erba, s'è radicata in maniera trasversale, interclassista, "democratica": senza distinzione di sesso, credo religioso, politico e senza distinzione di classe sociale: imprenditori, commercianti, liberi professionisti, spacciatori, posteggiatori abusivi, truffatori, etc.
Tutti con uno slogan comune: strizzare l'occhio all'illegalità aiuta a vivere meglio, a presidiare la difesa dei nostri interessi di bottega e a far meglio i nostri affari.
Quindi: abbasso l'irpef e viva il pizzo.
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